Roccafluvione
La storia
Il comune di Roccafluvione si colloca nella medio-alta Valle del Tronto, lungo la Val Fluvione. Il capoluogo, Marsia,
si trova a fondovalle lungo il corso del Fluvione, a 299 m s.l.m., ma al confine con i vicini comuni di Montegallo
e Acquasanta Terme si raggiungono i 1130 m s.l.m. Il resto del territorio comunale, di circa 60 kmq è coperto
per l’80 % da boschi con il primato della concentrazione di tartufaie tra le più estese a livello nazionale.
In questo incontaminato paesaggio sono dislocate ben 60 frazioni, alcune delle quali non più abitate.
Roccafluvione ha un’exclave (Forcella) che confina con Acquasanta Terme
e l’exclave di Ascoli Piceno (Piana della Forcella).
Il toponimo è composto dal termine “rocca” e dall’idronimo “fluvione”. La storia si perde in tempi remotissimi.
Il territorio era abitato sin dal neolitico, come dimostrano alcuni reperti (elmi, asce, lance, lamine, pettorali, fibule) conservati nel museo archeologico di Ascoli Piceno. La probabile presenza dei Marsi, in aiuto di Ascoli, in guerra contro Roma, avrebbe dato il nome a Marsia ed a Marsicano, i corsi d’acqua che la bagnano, scendendo da Vallicella. A partire dal sec.XI, tutta la zona di Fluvione passò sotto la giurisdizione di Farfa, che favorì un notevole sviluppo economico, culturale e soprattutto religioso, come testimoniano le numerose chiese tra le quali quelle
di Marsia (cripta VIII-IX sec.), Casebianche, Scalelle, Pastina e Pedara, che sono di particolare pregio artistico
(sec. XIII-XIV). Nel corso del basso medioevo, quando le istanze comunale indebolirono il rapporto con Farfa,
il territorio passò sotto l’influenza di Ascoli Piceno, e nel sec. XIX, fu al centro della insurrezione popolare,
che intendeva tutelare i diritti della Santa Sede sui suoi ex territori (“brigantaggio”).
Il tartufo, delizioso frutto della terra, è un vero e proprio tesoro sotterraneo. Con il suo intenso profumo e originale sapore è tra i più misteriosi esseri del regno vegetale.
Una protuberanza che già nell’ antichità meravigliò botanici e naturalisti e ancora adesso conserva gelosamente i suoi segreti. I Romani lo chiamavano semplicemente “tuber” che in latino significa gonfiore, bitorzolo. Aristotele ed altri autori antichi come Pitagora gli attribuirono facoltà afrodisiache, Plutarco era convinto che si formasse in seguito a turbolenze atmosferiche, col favore dei tuoni e fulmini, che derivasse da strane radici vaganti staccatesi dalle piante madri, o grumi prodotti da fermentazioni della terra. Solo verso il secolo XII cominciò ad usarsi il nome di “terrae tuffolae” che si contrae in “tartuffole” da cui “tartufo”. La micologia (lo studio botanico dei funghi) ha fatto luce su una parte dei segreti del tartufo, affermando che si tratta di un fungo micorrizico, esso infatti, per sopravvivere, instaura un rapporto di simbiosi con la pianta ospite. Questa simbiosi consiste nello scambio di soluti e sostanze nutritive fra la pianta ed il micelio del fungo. Entrambi traggono grandi benefici da questo legame.
Non tutte le piante sono idonee ad ospitare il tartufo Nero di Roccafluvione le migliori sono: la Quercia, il Carpino nero, la Roverella, il Cerro, il Nocciolo, il Faggio.
Il tartufo Nero di Roccafluvione si sviluppa preferibilmente su terreni derivanti dal disfacimento di rocce sedimentarie calcaree del periodo Mesozoico e Cenozoico. I frutti del Nero di Roccafluvione si sviluppano, in queste vallate, in terreni freschi e ben drenati, al limitare o all’ interno di boschi misti di latifoglie a partire da 500 metri fino a 900 – 1000 metri di altitudine, preferendo un’esposizione fresca rivolta a Nord.
Il Nero di Roccafluvione fruttifica ad una profonditaà che va dai 5 ai 15 – 20 cm. Per raccoglierlo è obbligatorio l’ uso di un cane addestrato e di un vanghino la cui lama non deve superare i 6 cm. di larghezza. Non è permesso dai vigenti regolamenti raccogliere più di un Kg. di tartufo al giorno.
Se lo si acquista fresco, il tartufo va pulito accuratamente con uno spazzolino sotto l’acqua corrente per eliminare tutti i residui di terra. Non si può solo strofinare come facciamo comunemente con i funghi normali; rischieremmo di gustare tartufo e terra! Poi si fa asciugare e si grattugia. Lo si copre d’ olio extravergine d’ oliva ed eventualmente si aggiunge una punta di sale, ma non tutti lo fanno. Trattato in questa maniera, il tartufo può essere conservato in frigorifero per qualche giorno. Si utilizza crudo, cotto o sotto forma di succo, essenza o concentrato. In commercio si trova sia fresco che confezionato in barattoli sotto sale o tagliato a fettine sott’olio.